La recente chiusura della Casa di Riposo Città di Asti accreditata con oltre 300 posti letto, per dimensioni la prima IPAB in Piemonte e la seconda in Italia, ha richiesto la riallocazione presso altre strutture dei circa 130 ospiti ancora presenti. Un evento devastante per un piccolo territorio di provincia, dove l’unico presidio Ospedaliero per acuti a gestione diretta dell’ASL locale, non raggiunge una dotazione di 2,5 posti letto/1000 abitanti, ben lontano dai già inadeguati 3/1000 previsti dal DM 70; ciò significa che sul territorio mancano all’appello almeno 80-90 posti letto per acuti. L’insufficiente capacità ricettiva per acuti del nosocomio cittadino è facilmente desumibile dall’elevato indice di occupazione (IO) specie per i reparti di area medica e dal sovraffollamento del pronto soccorso; già in era pre pandemica la Medicina Interna, come la Geriatria registrano da anni un IO superiore al 105%; ben oltre il 90% previsto dal DM 70, che è superiore allo 85% ritenuto adeguato e sicuro dalla OMS.

La perdita di posti letto per post acuzie si pone in antitesi con le roboanti dichiarazioni politiche sul potenziamento del territorio, politica evidentemente affetta da annuncite cronica ma incapace di programmare e progettare ciò che è bene per i cittadini che rappresentano.

La mancanza di questi posti letto per post acuzie renderà ancora più problematico il proseguo delle cure all’esterno dell’ospedale, contribuendo così ad aggravare ulteriormente il già noto e presente “boarding” per le post acuzie, e a monte il boarding del pronto soccorso, insomma un boarding al quadrato.

Il quadro sconfortante che emerge è l’assoluta inadeguatezza del territorio a trattare ivi le cronicità senza coinvolgere direttamente l’ospedale, e accogliere le post acuzie permettendo un adeguato tournover per gli eventi acuti. Nei reparti per acuti da anni sostano in attesa di un setting di cure adeguato, casi sociali, cronici e da riabilitare che dovrebbero ricevere le opportune risposte altrove.

Come si può gestire una richiesta di cure adeguate, pronte e sicure in tale contesto? La risposta è semplice: non si può.

Chi è chiamato istituzionalmente a gestire tutto ciò programma “a vista”, “per il presente”, perché di programmazione futura al momento non vi è traccia.

Si pretende di risolvere, oggi, il boarding negli affannati pronto soccorso regionali, trasformandolo in extra per i reparti che non stanno di certo in migliori condizioni, più che una soluzione (tampone) somiglia al gioco delle tre carte dove il bisognoso perde sempre.

Le uniche soluzioni prospettate discenderanno dalle risorse economiche fresche del PNRR per ammodernare, ristrutturare, creare ex novo dei luoghi di cura sparsi sul territorio nazionale, luoghi che saranno ampiamente sottoutilizzati se non vuoti vista la carenza di personale sanitario impiegabile, e nel caso si riesca a reperirlo sarà impossibile da contrattualizzare per l’assenza di copertura economica. In aggiunta si vorrebbero aumentare i volumi prestazionali del privato accreditato con buona pace del concetto di sanità pubblica.

Tutto ciò si traduce in liste di attesa per prestazioni programmabili infinite, sovraffollamento indecente e pericoloso (per pazienti e operatori) dei pronto soccorso indegno per un Paese civile, ospedali condannati a lavorare sempre e costantemente oltre le capacità ordinarie non accettabile in un Paese civile ed un territorio deserto, non pervenuto, incomprensibile in un Paese civile. 

I professionisti del SSN spremuti all’inverosimile vivono in costante burnout, ed in perenne stato di moral injury perché da soli ed in tali circostanze non saranno mai in grado di rispondere, qualitativamente e quantitativamente, a tutte le richieste di salute. 

Vietato ammalarsi. Indietro tutta…e si salvi chi può.

Valerio Tomaselli, vice segretario Regionale Anaao Assomed Piemonte