“Lo ammetto, sono colpevole di lesa “moscatività”. Ho proposto, non con un’intervista ma con un intervento, il mio pensiero su come riprogettare il futuro del moscato ipotizzando l’apertura a nuovi impianti non doc e non docg e subito sono arrivate le contumelie di chi, ormai da troppo tempo, si erge a difensore di un mondo che avrebbe tanto bisogno di confronti e non di scontri, di dialoghi e non di monologhi. Comunque sia mi corre l’obbligo di precisare alcuni aspetti che, ad arte, sono stati male interpretati e distorti. Non ho mai detto che il moscato non doc e non docg servirebbe a fare spumatelli dolci. Quelli le aziende già li fanno e li vendono senza problemi con costi di produzioni infinitamente inferiori a quelli fatti con uve doc e docg. La mia tesi, e non solo mia, è, invece, quella di occupare fasce di mercato con prodotti alternativi a base moscato che oggi sono appannaggio, con volumi e ricavi davvero importanti, di altri produttori italiani e stranieri. Vogliamo continuare a stare fuori da questo business proprio noi che abbiamo l’uva migliore del mondo? Padronissimi, ma allora sì che faremmo come l’orchestrina del Titanic. Il vigneto moscato può tranquillamente produrre 120/130 quintali per ettaro. Sufficienti per creare massa utile per queste produzioni non concorrenziali con doc e docg che, a proposito, spesso spuntano prezzi non molto lontani da questi prodotti così tutelati. E per quanto riguarda il reddito agricolo faccio notare che un moscato non doc e non docg potrebbe quotare tranquillamente prezzi attorno ai 5 euro al miriagrammo, nettamente superiori a quelli delle uve rosse piemontesi, nebbiolo escluso, ovviamente. Inutile nascondersi dietro un dito (o un Sorì). Asti e Moscato d’Asti docg non stanno vivendo un buon momento. La contrazione dei mercati sta colpendo duro. Si sono persi milioni di bottiglie. Bisogna fare qualcosa. Aggredire fasce di acquirenti con prodotti alternativi, non concorrenziali al doc e al docg, è una strategia logica. Meno logico è sostenere, affiancando motivazioni antistoriche, la nascita dell’ennesima docg. Nel mondo del moscato, a mio modo di vedere, sarebbe una iattura. Si getterebbe nella confusione un mercato già abbastanza instabile. Ma ve lo immaginate spiegare ad un cliente tedesco o americano o giapponese, la differenza tra un Asti docg e un Moscato d’Asti spumante docg? Stessa bottiglia, stesso tappo, stessa lavorazione, stessa uva, ma nomi diversi. Sarebbe come fare un Nebbiolo di Barolo docg affinato quanto il Barolo. Chissà come mai ‘sta roba ai barolisti manco viene in mente. Quanto agli interessi dei vignaioli sono convinto che i tempi siano maturi. Chi lavora la vigna sa perfettamente chi gli fa perdere tempo e soldi e chi, invece, porta avanti idee propositive, da discutere, certo, ma in un’ottica di confronto, magari aspro, ma sempre utile alla filiera e non fine a sé stesso, o, peggio, all’autoaccreditamento infinito di movimenti pseudo sindacali e/o del territorio. Infine mi sia consentita una riflessione rivolta a tutti: spiace che il mondo del moscato continui a vivere una fase che definirei adolescenziale, con personaggi che non accettano il confronto, screditano e irridono chi non la pensa come loro. È un atteggiamento immaturo che stride con il carattere dei nostri vignaioli, gente con i piedi per terra che ha bisogno di fatti e non di parole e men che meno di polemiche o guerre legali”. Francesco Giaquinta, direttore Confagricoltura Asti