La scienza è bellissima. E se lo dice lei, una scienziata astigiana freschissima di un’importante successo, dobbiamo davvero crederci. La lei in questione è Eleonora Aquilini, astigiana di 38 anni, una giovane vita spesa per la maggior parte in laboratorio. Fatiche, sacrifici che hanno dato i frutti sperati, anzi inseguiti e sudati per anni.
Già perché lo studio “An Alveolata secretory machinery adapted to parasite-host cell invasion”, frutto di più di tre anni di lavoro, proprio nei giorni scorsi è stato pubblicato su Nature Microbiology, una delle riviste scientifiche più prestigiose e importanti. Un articolo che è frutto di una ricerca portata avanti principalmente nei laboratori dell’università di Montpellier, da un team a cavallo tra la Francia e gli Stati Uniti, che ha lavorato con passione su un’ipotesi proposta dalla dottoressa M. Lebrun, sulle basi del lavoro precedente del professore emerito JF Dubremetz, e sviluppata, fin dagli inizi, dalla dottoressa astigiana.
Aquilini e colleghi hanno dimostrato che l’azione secretoria di un particolare set di organelli (compartimenti cellulari provvisti di membrana), chiamati “rhoptry”- essenziali non solo per invadere ma anche per riconvertire le funzioni delle nostre cellule secondo le esigenze del parassita- dipende dalla formazione di una struttura a rosetta all’apice anteriore di questi parassiti. I ricercatori hanno inoltre evidenziato come la formazione di questa struttura, visibile grazie al microscopio elettronico, dipenda da un complesso molecolare di elementi mai studiati prima, senza i quali i parassiti sarebbero incapaci di penetrare all’interno delle cellule.

Crio-elettro tomografia della struttura a rosetta e ricostruzione 3D delle interazioni tra la punta del “rhoptry” (arancione), la vescicola apicale (rosa) e la rosetta di fusione (viola)

La particolare originalità di questo lavoro, premiata già nel 2018, quando Aquilini presentò per la prima volta i risultati preliminari in una delle conferenze più rinomate del campo parassitologico a Boston (Molecular Parasitology Meeting), viene dall’idea di utilizzare, come modello per decifrare questi pericolosi parassiti, innocui microorganismi che vivono nelle pozze d’acqua, cugini lontani secondo l’evoluzione: i ciliati. Benché questi due tipi di microorganismi infatti abbiano adottato stili di vita completamente differenti – gli uni parassitando cellule di vari organismi superiori, gli altri vivendo liberi, cacciando prede ancor più piccole – entrambi si sono evoluti da un antenato comune e condividono alcune peculiari caratteristiche. Indizi, questi, sufficienti a guidare il team di ricerca a cercare ulteriori similitudini e a trovare tracce convincenti. I risultati di questa nuova ricerca dimostrano infatti che la struttura a rosetta presente nei parassiti, e il suo meccanismo di formazione sono proprio gli stessi utilizzati dai ciliati per difendersi, e che questo processo di secrezione ha probabilmente un’origine evolutiva comune.

Con una differenza. Il lavoro pubblicato oggi evidenzia infatti, come nei parassiti uno degli elementi chiave individuati nel meccanismo di secrezione si trovi in corrispondenza di un’enigmatica vescicola, incastrata tra la punta dei rhoptry – gli organelli secretori – e la membrana esterna, proprio sotto la struttura a rosetta. Questa vescicola, osservata e modellata anche grazie alla crio-elettro tomografia (tecnica che ha vinto il Nobel per la Chimica nel 2017) é assente nei ciliati delle pozze, e potrebbe essere un elemento critico per il parassitismo rappresentando la complessità aggiuntiva richiesta per l’invasione cellulare.

La struttura a rosetta visibile sulla punta anteriore di Toxoplasma gondii, al microscopio elettronico

“Tutto è nato nel 2017 come conseguenza del lavoro eseguito negli anni ‘80 da alcuni scienziati che avevano studiato con le tecniche microscopiche pioniere del tempo queste strutture nei parameci – spiega Aquilini -. Si trattava di immagini molto dettagliate, e con un dettaglio rivoluzionario per il tempo, che però non erano mai state approfondite a livello molecolare e con le tecniche a nostra disposizione oggi”. Caso ha voluto che uno di quei “fotografi” degli anni ‘80 fosse professore emerito nel 2017 e bazzicasse proprio l’università di Montpellier. Ed è a quel punto che l’incontro di tre menti eccezionali è diventato uno studio di ricerca vero e proprio che ha portato all’identificazione e caratterizzazione degli elementi chiave del meccanismo di secrezione di importante parassiti come Plasmodium (parassita della malaria) o Toxoplasma (che causa la toxoplasmosi). La scoperta, definita “entusiasmante” entusiasmante lo è davvero visto che potrebbe, oltre ad avere implicazioni in campo clinico, fare luce anche sull’evoluzione del parassitismo. “Senza dubbio stile di vita con più successo in natura, se si pensa che oltre la metà delle 7,7 milioni di specie conosciute della Terra sono parassite e questo stile di vita si è evoluto in modo indipendente centinaia di volte”, spiega Aquilini.

Ma dietro questo risultato si celano lavoro e impegno.
“Una volta stabilita la nostra teoria (quella che il mecanismo di secrezione utilizzato dai parassiti per entrare e sovvertire i processi delle cellule umane, potesse avere molto in comune con il mecanismo di secrezione utilizzato dai ciliati delle pozze per difendersi), teoria mai smentita dalla letteratura, abbiamo raccolto tutti i dati disponibili in letteratura, che sono sempre rimasti in linea con la nostra ipotesi – aggiunge la scienziata astigiana -. Da lì sono partiti mesi di esperimenti per generare nuovi parassiti mutanti, svolgere esperimenti in vivo e raccogliere tutti i dati, eseguendo molti esperimenti anche a Chicago”.
Un’equipe che si è allargata a una ventina di scienziati fra la Francia e gli Usa, un lavoro lungo e minuzioso che ha visto anche la Aquilini impegnata proprio nei laboratori americani. Lì la scoperta: i due meccanismi erano composti e regolati dalle stesse molecole. Per dirla in maniera basilare. Significa cioè che in questi due microrganismi, lontani parenti, un antenato comune del meccanismo di secrezione si é evoluto in modo diverso, adattandosi alla difesa per i ciliati e al parassitismo per i parassiti.

“Come tutta la ricerca di base questa ricerca promette di avere implicazioni in campo clinico ma come sempre in scienza i tempi sono lunghi”, aggiunge. Basti pensare che questo importante lavoro è iniziato nel 2017 ed è stato pubblicato solo lunedì. E anche in questo senso il tempo di validazione da parte della comunità scientifica è stato lungo. “Abbiamo proposto l’articolo a Nature Microbiology nel 2019. L’editore lo ha mandato per la revisione a quattro scienziati esperti nel nostro campo che hanno analizzato i risultati della ricerca e ci hanno richiesto ulteriori esperimenti. Solo a dicembre 2020 è arrivato l’ok alla pubblicazione”. Questo per sottolineare il fatto che non c’è consapevolezza di quando la ricerca sia fatta di dati raccolti diligentemente, tempi di analisi e revisione spesso lunghi e stressanti, e un impegno costante.
Ma quella di Aquilini è stata la sua ultima e soddisfacente fatica dentro a un laboratorio. Nel 2020 infatti ha cambiato lavoro ed è diventata direttrice delle comunicazioni di un’azienda biotecnologica di Barcellona. “Ora racconto gli esperimenti degli altri – scherza -. Ma si tratta comunque di un lavoro importante, rendere accessibile la scienza, usando la mia esperienza di scienziata e l’accuratezza scientifica che ho imparato a rispettare nei miei anni di laboratorio, credo sia fondamentale, specie in questo periodo storico”.