Nella vita degli individui e delle famiglie irrompe immancabilmente il caso, quell’inestricabile catalogo di buona e mala sorte, con cui imparare a fare i conti. E al negativo il caso fa breccia, guai a pensare che fili sempre tutto liscio.
Dire anziano, disabile, cronicità apre una serie di sguardi che volontari, operatori dell’assistenza, medici sono chiamati a esplorare per essere davvero professioni di aiuto.
Se ne è ragionato, con la capacità di ascoltarsi e mettere a fuoco le questioni, ieri in Municipio prendendo spunto dalle forme di aiuto e di collaborazione possibili quando si affrontano malattie neurologiche e neurovegetative. A proporlo la Banca del Dono per la consuetudine cui sta lavorando l’Assessorato alle politiche sociali della Città a non separare problemi e soluzioni, possibilmente migliorando le cose.
In varia forma e modalità, e per sue competenze, l’intervento economico di spesa, riguardante la sola disabilità, delle casse comunali è di € 1.021.894, distribuito tra integrazione diretta o parziale di rette, sostegno alla domiciliarità e assistenza domiciliare, progetti individualizzati, di vita indipendente, di affido, percorsi di accompagnamento. Un’elencazione, un poco arida, cui ci ha abituato la meccanica del moderno welfare, che dietro i numeri, lo si dice sempre, ha però sempre volti, nomi, famiglie e storie con cui fare i conti.
A ricordarcelo la presenza e gli interventi delle sei associazioni presenti Aism con Renato Vergano, Anfass con Marcello Follis, Aisla con Vincenzo Soverino, APA Parkinson con Nicoletta Muccioli, Aila con Mariella Capra, AMA con Tiziana Valente.
Da loro è emersa ”la necessità che la valutazione terapeutica dia maggiore ascolto alle famiglie”, che “le attività educative e formative aggrediscano la zona grigia, per dare reale efficacia a integrazione, riabilitazione e sviluppare apprendimenti che servano ad avere un mestiere o accrescere capacità residue”, “non servono solo risposte specialistiche ma opportunità mirate e tagliate su misura delle reali esigenze degli individui”.
Neanche pretestuoso quindi che intorno a patologie che implicano proprio le potenzialità del cervello e delle autonomie che questo controlla, si sia messa a fuoco in questa sede l’esigenza di dare gambe a idee e progettualità che colgano esigenze nuove.
Ne sono consapevoli anche gli operatori della Sanità, erano presenti il Direttore di Asl AT Mario Alparone, il Direttore della Soc. Neurologia Marco Aguggia, il presidente dell’Ordine dei Medici Claudio Lucia, che hanno ben presente i limiti di una organizzazione che insegue la soluzione fisica dei problemi, e forse più non potrebbe fare, ma non la complessità cui fare fronte Come ha ben ricordato Marco Aguggia “La cronicità comporta energia e dispendio, per conviverci deve essere letta come una speranza, ma ha bisogno di una rete assistenziale opportuna, che la contenga”.
Un approccio che è allenamento quindi ad allestire nuovi contesti di collaborazione e di elaborazione cui sono chiamati medici e terapeuti, volontari e auto aiuto per evitare sempre più che si dica “Hai ascoltato le mie esigenze ma poi mi dai quel che puoi. L’obiettivo è fornire le risposte di cui si ha bisogno”.
E si tratta, andando al nocciolo, di interrogarsi compiutamente, per dare risposte adeguate, come indicato da osservatori attenti, ai bisogni degli utenti non delle organizzazioni. Dal mondo più vicino a pazienti cronici la richiesta di tenere più presente quel che si sa di ogni storia dell’”individuo-paziente”, o “del non si sa” accoglibile con la collaborazione di chi gli sta più accanto.
Lì il volontariato può diventare qualcosa di più di una dose di tempo e di dedizione dedicato agli altri e diventare un frammento della soluzione possibile.
Secondo il Sindaco Maurizio Rasero e l’Assessore Mariangela Cotto “Si tratta evidentemente di contribuire, anche grazie a iniziative di dialogo come l’odierna, a far crescere una nuova cultura della cura, sanitaria e sociale, che sta dentro i principi delle riforme e delle pratiche auspicate da tutti. Meno soldi, sovente meno presidi ma più consapevolezza da parte di famigliari, di terapeuti e volontari su che cosa concentrarsi per il maggior benessere della persona”.
Sembrerebbe tutto molto facile. Intanto dalle linee regionali di recepimento del Piano nazionale Cronicità, del febbraio scorso, qualche buona notizia su domiciliarità, reti assistenziali, la centralità del ruolo dei medici di famiglia, la riorganizzazione operativa degli ospedali e dei distretti, l’elaborazione di piani di cura personalizzati per i pazienti, la creazione di percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali integrati ospedale-territorio e omogenei a livello regionale.