LUIGI BERZANO“Tra i problemi che il prossimo governo si troverà di fronte – e che nessun governo ha mai saputo risolvere – c’è quello della libertà religiosa”. Sa bene di cosa parla don Luigi Berzano, curatore del libro “Credere è reato? Libertà religiosa nello Stato laico e nella società aperta”, professore ordinario dell’Università di Torino e coordinatore nazionale della sezione “Sociologia della religione” della Associazione Italiana di Sociologia. Don Berzano dirige l’Osservatorio sul Pluralismo Religioso a Torino, che ha censito circa 150 gruppi e realtà religiose nel capoluogo piemontese suddividendoli in cinque categorie: gruppi di origine giudaico cristiana e chiese pentecostali, gruppi e movimenti di origine orientale, gruppi nati in occidente (new age o con credenze ufologiche, magiche o esoteriche) e Islam in Piemonte e l’Islam “piemontese”. “Bisogna immaginare un palazzo a tre piani – spiega Berzano -. Il piano nobile è occupato dalle religioni che hanno ottenuto il concordato. Più in basso ci sono le religioni che hanno ottenuto un’intesa (una decina). Al piano terra ci sono quelli che, con un dicitura formulata dal regime fascista, vengono definiti i “culti ammessi”, che non hanno un’intesa con lo stato. Ma la cosa più interessante sono i sotterranei:  sono pieni di fermenti, nuove formazioni religiose, nuovi movimenti, chiese pentecostali etniche”. Nel testo, pubblicato dalle Edizioni Messaggero di Sant’Antonio di Padova, filosofi, sociologi, semiologi, psicologi, giuristi si confrontano delineando un modello costituzionale, etico e sociale della libertà religiosa che sia in grado di misurarsi con le attese degli ordinamenti degli stati laici. Come è nato questo progetto? “Il volume nasce per riflettere sul disegno di legge 569/2008 in discussione alla Commissione Giustizia del Senato sulla reintroduzione del reato di manipolazione mentale, che sostituirebbe il reato di plagio (art. 613 del Codice Penale) abolito in quanto incostituzionale con sentenza della Corte Costituzionale del 1981. Di pari passo, di fronte a pubblicazioni scadenti sulle cosiddette sette, mi era stato richiesto da molti aderenti ai gruppi che censiamo nell’Osservatorio di commentare questo disegno di legge. Dal canto mio avevo proposto loro di promuovere questa discussione scientifica anziché organizzare manifestazioni. Così è nato questo volume, una discussione sulla libertà religiosa tra una ventina di studiosi”. L’approccio è decisamente multidisciplinare. “Trattare degli aspetti criminali, della piccola e della grande criminalità, richiede competenze di tipo giuridico istituzionale ma anche sociologiche e interpretative. Cammin facendo ho introdotto la prima parte del testo ed è nato un campo di interesse diverso da quello inizialmente previsto: l’epistemologia della libertà religiosa. Il volume è prevalentemente declinato sul versante del diritto alla libertà religiosa, ma c’è un altro campo che sta emergendo, di grande rilievo per chi è nella chiesa cattolica e si occupa di teologia cattolica, che è il dovere della ricerca della verità. A svilupparlo è sopratutto l’intervento di Sergio Belardinelli e, nella prefazione, Francesco D’Agostino. Si rivendica questa legittima aspettativa delle formazioni minoritarie ad avere diritto di cittadinanza nel nostro sistema purché non vadano contro il codice penale. Non si tratta dell’elogio del relativismo ma della libertà del pensare religioso, della dignità del credente di sentire il pungolo della ricerca della verità”. Il pluralismo nelle società multiculturali come la nostra ha riflessi anche sullo stesso mondo cattolico? “Il pluralismo dilagante che c’è all’esterno specularmente moltiplica le sensibilità dentro le religioni. Si pensi al caso limite della chiesa anglicana, spaccata sull’ordinazione dei vescovi anglicani donne, dei vescovi anglicani divorziati e ancora più di recente dei vescovi anglicani omosessuali. Questa lacerazione divide la chiesa anglicana ma riflette un pluralismo che esiste anche nelle diverse ali della chiesa cattolica, dal gruppo Abele alle posizioni più conservatrici. E’ un pluralismo che esiste da sempre e che è dentro di noi”. Il testo integrale dell’intervista è disponibole sul numero della Gazzetta d’Asti in edicola da venerdì 1 febbraio 2013. Marianna Natale