Il ritorno alla vita dopo il “lockdown” e la rinascita della cultura passa attraverso il letargo produttivo di alcuni autori che ne hanno approfittato buttandosi a capofitto nello scrivere nuovi romanzi. Uno di questi è Gian Marco Griffi, che ci aveva già impressionato con “Inciampi” ma che ora pare aver raggiunto la piena maturità con la sua terza opera, “Ferrovie del Messico”, edita da Laurana, con le illustrazioni di Silvia Perosino e la post-fazione di Marco Drago. 

Il romanzo è stato proclamato, a giugno, libro del mese da Fahrenheit, la trasmissione di Radio Rai e l’8 dicembre concorrerà alla proclamazione di libro dell’anno. 

Ma sentiamo dalla viva voce di Gian Marco Griffi come è nata la sua ultima fatica letteraria.

A distanza di tre anni e con una pandemia in mezzo finalmente ci ritroviamo a parlare del suo nuovo romanzo: come ha vissuto questo lungo periodo?

“Benché la pandemia sia stato un momento difficile per tutti, per alcuni tragico, confesso che senza i due lockdown, uno totale (marzo-maggio 2020), l’altro quasi (novembre 2020-febbraio 2021) non sarei mai riuscito a scrivere “Ferrovie del Messico”. È un romanzo che necessitava di un lavoro costante, sia in fase di studio che in fase di scrittura; soltanto scrivere otto o nove ore al giorno, tutti i giorni, per diversi mesi mi ha dato la possibilità di focalizzarmi su quanto volevo ottenere (e col mio lavoro, di solito, riesco a scrivere soltanto di lunedì, o di sera). Quindi ho vissuto la pandemia maluccio, come molti, ma almeno ho avuto la fortuna di ritrovarmi tappato in casa con un figlio di un anno e mezzo (nel 2020), ho potuto stare con lui per molto tempo, e nel mentre ho usato quel tempo per studiare, leggere e soprattutto scrivere, scrivere, scrivere”. 

Come nasce “Ferrovie del Messico”?

“Dalla fine del 2019 avevo alcuni brani ambientati nella Repubblica di Salò, avevo alcuni personaggi (tra i quali Tilde, la protagonista femminile, e un soldato repubblichino senza nome, che poi sarebbe diventato Francesco Magetti, protagonista del romanzo), ma non riuscivo a trovare un filo conduttore. Sapevo che la storia avrebbe avuto per protagonista la città di Asti e i suoi dintorni, le colline e i paesi dell’Astesana e del Monferrato, e sapevo che sarebbe stata ambientata nel 1944, perché mi serviva un periodo storico che simboleggiasse una certa confusione, un caos sociale che si riflettesse sul linguaggio: “Ferrovie del Messico” è prima di tutto un romanzo sulla lingua, sul linguaggio. E poi sul paesaggio (Asti e i suoi dintorni – dove è ambientata buona parte della vicenda -, la Germania, l’Islanda, ovviamente il Messico). Un giorno, mentre leggevo una biografia di Marcel Proust, ho scoperto che era un accanito giocatore di Borsa; tra le azioni che preferiva acquistare c’erano le azioni delle Ferrovie del Messico. Insomma, ho avuto una specie di illuminazione: un titolo di borsa che diventava il titolo di un romanzo. E così ho iniziato a immaginare una storia nella quale il centro di tutto fosse il disegno di una mappa delle ferrovie del Messico. Da quel momento in poi, a livello di immaginario, le strada è stata in discesa (mentre dal punto di vista tecnico, della scrittura, mi sono ficcato in un bel guaio)”. 

Chi è Cesco Magetti, protagonista del suo romanzo?

“Be’, è molte cose insieme, come tutti. È un astigiano come poteva essere mio nonno (di cui è coscritto, entrambi sono nati nel 1921); è un ragazzo di ventitré anni nella Asti occupata dalla Wehrmacht, che ha aderito alla Repubblica Sociale Italiana per necessità. Si è arruolato nella Guardia nazionale repubblicana ferroviaria non certo per passione militare o politica, ma soltanto perché di meglio da fare per campare non c’era, e non ha il fegato di ribellarsi e unirsi alla Resistenza. In un certo senso è un ignavo, più che un codardo. Ha la fobia dei dentisti ed è tormentato da un terribile mal di denti: ho provato a trasporre così, con un dolore fisico, il suo male oscuro, il male interiore di Magetti e dell’uomo che non riesce a decidere, che non riesce a trovare la forza per affrontare il male circostante e neppure i problemi, anche piccoli, che gli si presentano. È anche l’emblema dell’uomo di oggi, gettato nel mondo in balia di guerre e tragedie climatiche, paralizzato e incapace di fare anche solo un piccolo gesto in grado di migliorare le cose, come per esempio differenziare la spazzatura, rinunciare a qualche comodità superflua per il bene di tutti, prendere posizione contro l’odio, il bullismo, il razzismo, e non a livello astratto, universale ma nella piazza dietro l’angolo di casa propria (basterebbe e avanzerebbe). Però Cesco Magetti è anche schivo, riservato, pudico, eppure voglioso di migliorarsi. È poi è tormentato da un’inquietudine che non sa spiegarsi e dal peso delle conseguenze delle sue azioni, un po’ come tutti. In guerra non ha mai sparato un colpo, è fascista perché non conosce altra Italia che l’Italia fascista. Dentro di sé sa benissimo che una civiltà è al tramonto e che quella che sta arrivando potrebbe essere una civiltà migliore, se solo gli uomini riusciranno a renderla tale. È, infine, un uomo che riesce a superare la propria miseria spirituale e a svelare il lato migliore dell’essere umano”. 

L’intervista completa sul numero della Gazzetta d’Asti in edicola da venerdì 16 settembre 2022

Massimo Allario