Il Cepros (Centro per la Promozione delle Opportunità di Socializzazione) è una realtà attiva dagli anni ’70, fondata da Paolo e Maria De Benedetti in memoria dei genitori Ettore e Teresa. Il gruppo di volontari che oggi anima l’assocazione tiene vivo il messaggio di Paolo De Benedetti (1927-2016), docente universitario di profonde conoscenze, che sapeva però parlare a tutti. In occasione della Giornata della Memoria, abbiamo incontrato Gian Michele Amerio, presidente del Cepros da circa un anno.

Dottor Amerio, qual è oggi il valore della Giornata della Memoria?

“La memoria vera è arrivare a una comprensione profonda della storia, senza farsi prendere da dualismi passionali e isterici. Oggi celebriamo la Resistenza, le foibe, la memoria della Shoah, ma fatichiamo a dare a queste giornate un reale valore storico. La politica stessa si abbandona a queste forme di contrapposizione collerica, dimenticando il suo ruolo di “problem solver”, lacuna che si è vista chiaramente per esempio durante la pandemia. Siamo diventati un Paese che celebra per schierarsi, non per capire e imparare dagli errori del passato. Per citare lo storico Franco Cardini: “Se rinunciamo a una comprensione profonda dei fatti, il passato si dissolve in una nebbia indistinta oppure rivive nella dicotomia delle opposte passioni”.

Si può celebrare la Giornata della Memoria anche avendo sotto gli occhi i massacri che avvengono nella Striscia di Gaza?

“Quello che gli ebrei stanno facendo in risposta all’attacco del 7 ottobre non cancella ciò che hanno subìto, e chi è morto nei lager nazisti non c’entra nulla con ciò che stanno subendo ora i palestinesi. I destinatari del Giorno della Memoria, invece, dovremmo essere noi. Questa giornata è stata istituita per ricordare a noi carnefici ciò che abbiamo fatto o taciuto e ciò che non avremmo mai più dovuto permettere qualora si fosse ripresentato. Parlo in prima persona perché, anche se a differenza della Germania non abbiamo ancora voluto guardare in faccia il nostro passato fascista e farci i conti, a deportare gli ebrei c’eravamo anche noi”.

Eppure, se si torna indietro di una settantina d’anni e si risale alla prima pietra lanciata nel conflitto israelo-palestinese, la traiettoria sembra ricondurre proprio a Israele.

“La politica dovrebbe guardare al passato solo per imparare dai propri errori e poi rivolgersi al futuro per trovare soluzioni concrete, altrimenti rischia di aggrovigliarsi su se stessa, in una matassa di vendette. Come sosteneva il matematico e premio Nobel per l’Economia John Nash nella sua teoria dei giochi, “entrambi i giocatori devono perdere qualcosa per vincere”. Ecco, credo che non si possa scegliere quale diritto sia più valido tra quello dei palestinesi a vivere in pace e quello degli ebrei ad avere un proprio Stato. Se c’è una cosa che Paolo De Benedetti mi ha insegnato, è proprio la capacità di lasciare aperte tutte le possibilità e i doppi pensieri, anche se in contraddizione tra loro, specialmente su cose che non conosciamo a fondo. Sarebbe invece compito della politica trovare un compromesso e una soluzione pratica a questo problema, per permettere a entrambi i popoli di esercitare i propri diritti.”

L’intervista completa sul numero della Gazzetta d’Asti in edicola da venerdì 26 dicembre 2024

Elena Fassio