Lucio Brunelli, direttore delle testate giornalistiche delle emittenti Cei TV2000 e Radio InBlu, è stato per vent’anni vaticanista del TG2, e venerdì 22 gennaio, in occasione della festa di san Francesco di Sales, patrono dei giornalisti, è stato invitato in Vescovado per l’incontro coi giornalisti astigiani. Con il suo intervento, ha parlato di giornalismo, chiaramente, ma soprattutto di misericordia (un termine forse da riscoprire) in linea col tema dell’Anno santo istituito da Bergoglio; un papa che, tra l’altro, Brunelli conosce personalmente già da più di dieci anni. Cosa significa, per lei, fare il giornalista? “Personalmente, la mia passione nel raccontare la realtà nasce dalla curiosità, dal desiderio di stupirmi. Un Padre della Chiesa, san Gregorio di Nissa, diceva che i concetti creano gli idoli – ovvero le ideologie – mentre solo lo stupore permette di conoscere. È questo stupore, secondo me, il requisito fondamentale del giornalista, lo stupore che permette di conoscere, e quindi raccontare. E poi, da vaticanista, ho avuto la fortuna di viaggiare con i papi, da Wojtyla a Ratzinger, a papa Francesco; credo di aver fatto un centinaio di voli papali”. E durante questi viaggi, in aereo, veniva fuori il lato più umano dei papi? “Sì, soprattutto quello di papa Ratzinger. Lui ha pagato molto l’immagine di un papa gelido, freddo, chiuso. Eppure quando si ha la possibilità di un contatto, anche breve, ma a tu per tu, dà tutt’altra impressione; restituisce, al contrario, l’immagine di una persona molto mite, molto attenta mentre ti guarda negli occhi e ti ascolta. Questi viaggi, personalmente, sono stati molto importanti per conoscere da vicino personaggi, appunto, come Benedetto XVI, andando al di là delle apparenze e mosso da quella curiosità di cui parlavamo, quella che ti porta a conoscere fatti, e persone, nella loro completezza; senza limitarsi alla loro immagine stereotipata”. Quando è stato eletto papa Francesco si è presentato ai fedeli innanzitutto come vescovo di Roma. Secondo lei è un gesto da leggere in chiave ecumenica? “Partendo dal presupposto, ovviamente, che ogni papa è tale in quanto vescovo di Roma, effettivamente ha sottolineato molto questo aspetto che si era un po’ perso a scapito della dimensione del Pontefice della Chiesa universale. Ed è chiaro che riscoprire la dimensione del papa come vescovo di Roma, prima che governatore della Chiesa universale, favorisca l’ecumenismo e il dialogo, specialmente con la Chiesa ortodossa. Però direi che, sottolineando la sua dimensione “romana”, prima ancora delle implicazioni ecumeniche è la natura stessa del papato che viene riscoperta. Nel primo millennio cristiano il vescovo di Roma non nominava tutti i vescovi del mondo, non esisteva nemmeno una Curia come la intendiamo oggi, come è subentrata nel secondo millennio. Dunque, sotto quest’aspetto, porre l’accento sul vescovado di Roma va letto anche come un tentativo di riformare la Curia”. Francesco Carriero