“Prima delle mie pubblicazioni c’era un’indifferenza strumentale, non si può pensare che non si conoscesse la presenza di braccianti sfruttati”. A parlare è Marco Omizzolo, ricercatore Eurispes, giornalista e studioso di migrazioni e agromafie. Le sue inchieste giornalistiche e i suoi studi hanno portato a processo intere associazioni criminali, anche di natura mafiosa. Nel 2019 ha pubblicato “Sotto Padrone”, edito dalla Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, dove parla della sua lotta per la libertà insieme ai braccianti indiani sfruttati e dei sistemi criminali che vi gravitano attorno, “in cui sono implicati anche i più alti vertici delle istituzioni”. Omizzolo vive oggi in regime di sorveglianza per le minacce di morte ricevute negli anni.

La sua vita professionale, e forse non solo, è legata alla lotta contro il caporalato. Vorrebbe raccontarci brevemente come è iniziata la sua battaglia?

È in provincia di Latina che ho iniziato questo percorso. È diventato professionale quando ho iniziato la mia tesi di dottorato. Ho vissuto 1 anno e mezzo con una comunità indiana che mi ha permesso di costruire relazioni virtuose e di fiducia con tutti i membri della comunità, compresi caporali e trafficanti. Dopodichè sono passato all’osservazione partecipata. Ho lavorato “sotto copertura” tra braccianti indiani sfruttati e sotto diversi datori di lavoro italiani nell’Agropontino. Lavoravamo anche 16 ore al giorno a 3 euro e 50 l’ora. Un percorso “dentro casa mia”, che mi ha permesso di capire gli elementi centrali di un vasto fenomeno criminale.

Quali sono stati i pericoli che ha corso in questo periodo da bracciante?

Con il tempo mi ero legato alla comunità indiana, ma c’erano elementi non programmabili di incertezza. I veri pericoli, però, sono emersi quando ho iniziato a raccontare e a pubblicare, con la mia tesi di dottorato e le inchieste giornalistiche. Un italiano era entrato in quel sistema e aveva svelato tutto. Da allora ci sono stati scioperi e processi al Tribunale di Latina, ma anche minacce. Mi hanno distrutto quattro volte la macchina sotto casa e tentato di aggredirmi, oltre ad una forte macchina del fango organizzata da anonimi.

C’è un legame diretto tra sfruttamento dei braccianti nei campi e malagestione nell’integrazione dei migranti?

Assolutamente si, ormai da diversi anni la mala accoglienza, che per altro è stata incentivata dai due decreti sicurezza, come dimostrato da Amnesty International, rappresenta un’occasione per caporali e padroni. Questo rapporto tra mala accoglienza e caporalato è diffuso in tutto il Paese. Abbiamo trasformato i centri di prima accoglienza in hub per il reclutamento di manodopera.

L’intervista completa sul numero della Gazzetta d’Asti in edicola da venerdì 2 ottobre 2020

Danilo Bussi