Glory e Grace, nigeriane, hanno iniziato a lavorare con contratto stagionale di un mese presso un azienda agricola del sud astigiano. Si recano al lavoro in bicicletta fino alla stazione di Asti e poi prendono il treno, ogni giorno e con grande responsabilità. Un piccolo passo verso un futuro e un’autonomia, anche se continua per loro il percorso di protezione.
Al contrario, hanno concluso il progetto di due anni e ottenuto i documenti, due famiglie con bambini. Con la Cooperativa Arborvitae gli adulti hanno seguito corsi propedeutici al lavoro con inserimenti in lavori di pubblica utiità a San Damiano “per tenere pulito il paese che li ospitava”, i piccoli sono stati accompagnati nel cammino scolastico (scuola materna ed elementare), uno di loro è nato ad Asti che ora è diventata la loro città. Hanno sperimentato in accoglienza la vita in appartamento dopo un periodo di vita comunitaria, per acquisire le conoscenze necessarie alla vita autonoma.

Per esempio, portare il proprio figlio alla scuola materna ha significato confrontarsi con gli insegnanti , con gli altri genitori e rimotivarsi anche nell’apprendimento della lingua per aiutare il proprio figlio ad integrarsi. Un’esperienza molto positiva sia per i genitori ma soprattutto per i bambini che hanno trovato nella scuola di San Damiano e negli insegnanti un ambiente molto favorevole e disponibile all’integrazione. L’arrivo dei documenti ha sancito per loro lo stacco dall’accoglienza e, grazie all’autonomia conquistata, hanno trovato ad Asti, casa e lavoro.
Il percorso migratorio spesso causa ferite molto profonde dovute ai conflitti ma anche al viaggio stesso che per molti migranti è un viaggio dove incontrano sofferenza e solitudine. È l’esperienza che abbiamo condiviso con Adam (nome di fantasia), ragazzo sudanese senza età e senza capacità di esprimersi.

Lui è arrivato in accoglienza in una condizioni di profonda sofferenza tanto rifiutare il dialogo con gli operatori e gli altri richiedenti asilo. Nessuna sa come sia riuscito ad arrivare a Lampedusa, si ipotizza sia stato vittime di violenze in Libia, tanto da distruggerne la psiche e poi finito chissà come su una barca di disperati.
Un percorso tutt’altro che scontato, quello di Adam perchè ogni gesto della quotidianità come nutrirsi, lavarsi, stare con gli altri, parlare è stata una conquista. Oggi grazie agli operatori si lava, si veste dignitosamente e grazie all’aiuto di qualche piccola parola (“ciao staff” per esempio è la sua “frase” preferita), cerca il dialogo.
In questi giorni è arrivata la notizia dell’accoglimento della richiesta di asilo politico per motivi umanitari. Per lui è stato studiato un progetto di accoglienza “a oltranza” e la Cooperativa continuerà, a sue spese, alla cura e al mantenimento di Adam con l’obiettivo di proteggerlo e aiutarlo.
La buona integrazione è possibile, ma non semplice. I piccoli numeri sono una risposta che si può ampliare.