Le parole di Mario Draghi durante la conferenza stampa congiunta con il leader libico Abdulhamid Dabaiba erano certamente di circostanza e anche molto essenziali. Ma non sono passate inosservate, perché dietro c’è una terribile realtà che la storia sicuramente valuterà con occhi spassionati, diversi dai nostri. Ma il problema non è solo geopolitico, è anche umanitario e in questo senso l’Italia è uno dei pochi Paesi che tiene attivi i corridoi umanitari. Domenico Quirico è senz’altro una delle persone che conosce al meglio quella situazione.

Ha letto le parole dette da Draghi. Come le valuta?

“Non c’è niente di stupefacente nelle parole di Draghi. E’ una linea in assoluta continuità con il passato, linea aperta con il ministro degli interni Minniti, portata avanti dal ministro degli interni Salvini, benché di opposto colore politico e ora fatta propria da questo governo. Una linea politica che considera i migranti come un problema da affrontare, bloccandoli dove sono e non cercando di affrontare seriamente la questione. Minniti, Salvini e Draghi cercano di togliersi di dosso il peso politico di questa epocale bega, affidandola a personaggi molto sinistri che non hanno nessuno scrupolo. La logica è quella di non far vedere che esistono i migranti, in modo che non si creino tensioni qui in Europa. D’altronde in questo sono sostenuti dal consenso di molta gente, compresi molti cattolici, che non vogliono avere tra i piedi gente straniera, non li vogliono sugli autobus, per la strade, nei luoghi di convivenza. Draghi e chi l’ha preceduto hanno semplicemente creato una struttura politico-diplomatica, fatta anche di accordi concertati con l’Europa, caratterizzata dalla totale mancanza di pietà e di misericordia per le vite e le tragedie di queste persone e delle loro famiglie. Quello che  però inquieta non è che le cancellerie europee costruiscano una struttura del genere: naturalmente la gestione delle migrazioni è una grana e lo è sempre stata. Il problema è che la gente è diventata intollerante e ha perso il senso dell’umanità”.

Però Draghi parla anche dei corridoi umanitari che la Libia continua a rendere possibili.

“Ma quante persone arrivano in Italia con i corridoi umanitari? Certo c’è la buona volontà di realtà come Caritas, S. Egidio, Chiesa Valdese, che cercano in qualche modo di porre delle pezze. Diciamo che alleviano un po’ quella mancanza di umanità di cui dicevo prima, ma col rischio di essere strumentalizzati. Se qualcuno dicesse che il governo italiano si oppone all’immigrazione ci sarebbe la risposta pronta: “No, noi non ci opponiamo all’immigrazione, anzi abbiamo in corso i corridoi umanitari. Ci opponiamo all’immigrazione clandestina o gestita dalla criminalità: i corridoi umanitari sono vie legali”. 

Ma è come vedere un albero e non la foresta. Oltretutto parlando dei corridoi umanitari con la Libia ci si ferma a considerare l’ultimo tratto di migrazione, l’attraversamento del Mediterraneo, quando invece il viaggio inizia anni prima e per certi versi l’attraversamento del deserto è molto peggio di quello del mare. Per noi sono africani e se ci dicono che uno arriva dal Gambia, magari non sappiamo neanche dov’è e come è arrivato a Tripoli. Inoltre con queste operazioni a volte si fa una scelta tra chi far arrivare in Europa e chi deve restare lì. Il rischio è che se uno è siriano e con un buon titolo di studio lo prendiamo, ma se è uno con la barba lunga da jihadista, no. Se è una famigliola con bambini carini, va bene. Ma se è un maschio da solo, no. Insomma, i corridoi umanitari non risolvono.”

Lei aveva provato di persona cosa significa la traversata del Mediterraneo su un barcone. Che cosa ricorda di quell’esperienza?

“Quando ho attraversato il mare su un barcone, i migranti erano perlopiù maschi e giovani. Oggi la traversata è cambiata: ci sono donne, bambini, famiglie. Il ricordo di quella traversata è legata all’immensità del mare: molti con cui ero non lo avevano mai visto e lo guardavano stupiti. Da una parte era bello e affascinante, dall’altra parte faceva paura, perché enorme, infinito e pericoloso. Questo ricordo”.

L’intervista completa sul numero della Gazzetta d’Asti in edicola da venerdì 23 aprile 2021                                       

DiBa