Mercoledì, con una solenne liturgia che ha avuto luogo nella chiesa dei SS Cosma e Damiano, don Antonio Delmastro ha salutato la popolazione e la comunità di cui è stato pastore per oltre vent’anni. Domenica 10 gennaio lascerà fisicamente San Damiano. Destinazione, Villafranca, dove sostituirà don Carlo Pertusati, che ha rinunciato al sacerdozio e a quattro parrocchie (anche quelle di Cantarana, Maretto e Roatto).
“Qualcuno mi ha chiesto se sono stato io a chiedere lo spostamento: decisamente no, perché qui mi trovavo davvero bene e avrei continuato fino alla pensione. Tuttavia ho fatto il voto di obbedienza e io credo che lo Spirito Santo passi attraverso i miei superiori: sono certo che obbedendo farò la volontà di Dio e anche il mio bene, nonostante la sofferenza che provo”.
In questi anni ti sei speso tanto per le coppie e le famiglie: nel 2004 a San Damiano è nato il primo corso prematrimoniale e nel triennio 2014-2017 sei stato responsabile nazionale di Incontro Matrimoniale. Raccontaci le fatiche e le soddisfazioni di questo tuo lavoro…
“Con Incontro Matrimoniale (IM) ho scoperto con gioia che il prete non cammina da solo, ma con la coppia. In IM devo solo fare il sacerdote, curando gli aspetti spirituali e senza occuparmi della burocrazia, affidata ai laici. Ho imparato a non fare le omelie stando dal pulpito: lì devo parlare di me, come essere umano portatore di debolezze e fatiche. Lì emerge la mia umanità e non il mio ruolo: sono me stesso, perché non dovendo predicare non devo mostrarmi perfetto. Un discorso analogo vale per la Commissione Famiglia e i percorsi di preparazione al matrimonio: anche lì non faccio lezioni ai fidanzati, ma cammino insieme a loro. I fidanzati testimoniano la propria storia e tutti insieme discutiamo di progetti di coppia e di una costruzione solida della relazione”.
Hai intessuto relazioni sia con cristiani ortodossi sia con immigrati africani: ne hai un ricordo positivo?
“L’esperienza con gli immigrati rumeni è stata bellissima: ho accolto sia i cattolici sia gli ortodossi condividendo tutto, anche la canonica. Si sono inseriti bene e sono diventati autonomi, trovando lavoro e famiglia. Ancora oggi sono molto riconoscenti verso di me. In questi ventitré anni a San Damiano ci sono state quattro vocazioni di preti ortodossi: di questi, sono rimasto in contatto con padre Catalin, che è a San Damiano; siamo come fratelli, ci troviamo anche con la sua famiglia, ci cerchiamo nel bisogno. L’esperienza con gli africani è stata più faticosa, perché la cultura è molto più lontana dalla nostra rispetto a quella rumena. Ho dato tutto ai tre parroci africani giunti qui (don Urbano, don Lorenzo, don Benvenuto), ho insegnato loro la lingua, la nostra pastorale, li ho aiutati a prendere la patente trovando loro anche la macchina. Don Urbano e don Benvenuto mi hanno provocato alcune delusioni, mentre il bel rapporto con don Lorenzo si è concluso con la sua morte, che mi ha dato una grande sofferenza. In questi anni ho accolto in casa mia quattro famiglie africane, che però non ero pronto a seguire con costanza, il che ha reso la convivenza molto difficile”.
Hai sempre rivolto molte attenzioni anche ai giovani, creando campi parrocchiali e corsi di formazione per animatori: com’era la situazione giovanile quando sei arrivato in S. Cosma e com’è ora che la lasci?
“Ventitré anni fa, essendo don Borio malato da due anni e non avendo lui più fatto pastorale, ho dovuto ricreare nuovi gruppi giovanili, che non c’erano più. Almeno i primi quindici anni c’è stato un intenso rifiorire dei gruppi; poi, in linea con l’andamento generale nella Chiesa, i successivi dieci anni è diminuito il numero di partecipanti sia a Estate Ragazzi, sia ai campi che a messa. Oggi però ci sono alcuni gruppi, un oratorio e famiglie che aiutano. Purtroppo con il lockdown si è fermato tutto e quindi per il nuovo parroco sarà impegnativo ricreare il movimento”.

L’intervista completa sul numero della Gazzetta d’Asti in edicola da venerdì 8 gennaio 2021
Evelina Abrardi