Intervistare Andrea Broccardo è tornare indietro nel tempo, è ricordare un gruppo di giovani che cercavano una stanza con un grande tavolo per dare vita a un sogno di carta e di nuvole, di china e matite.
La “Compagnia del fumetto” trovò casa tra le pareti di questo oratorio e per un certo numero di anni diede vita a piccoli albi che conservo in uno dei tanti cassetti della memoria. Andrea oggi disegna i fumetti che io leggevo mezzo secolo fa e lavora per la Casa delle Idee, la mitica Marvel che i più conoscono per le gesta di Spiderman, degli Avengers e degli X-Men che da qualche anno abitano anche il mondo del cinema.
Andrea arriva puntuale, con una pila di fumetti e qualche capello in meno, ma con lo stesso sorriso e la stessa voglia di comunicare e di raccontare quella passione che t’inchioda a una tavola fino a quando sei davvero soddisfatto.
So già che ci perderemo in mille aneddoti e che dovrò tagliare e cucire, ma è bello ripercorrere le avventure di qualcuno che non trova l’America in giardino e decide di prendere un aereo per raggiungerla e portarsene un frammento a casa.

Quando e come sei stato colpito dal primo “balloon”?
“Mi fai pensare a mio nonno che era un lettore accanito di fumetti western come Black Macigno, Zagor, Capitan Miki e naturalmente Tex. Mio nonno mi passava i suoi Tex e mio padre mi aveva cresciuto a suon di film di Sergio Leone. Sia nel cartaceo che in celluloide il mito del western aveva il suo fascino. Crescendo ho iniziato ad affezionarmi ad alcuni personaggi della Bonelli come Dylan Dog, Martin Myster e Nathan Never. Poi conobbi i supereroi e fu subito amore. L’uomo Ragno, Batman, Hulk e altri. Oggi leggo qualunque cosa che sia disegnata in qualsiasi parte del mondo. Ho conservato una predilezione per il fumetto americano, con il suo dinamismo, la fisicità, i colori potenti e la particolare energia. Non è un caso che sia approdato da quelle parti”.
Non è un caso se ho scelto questa stanza per l’intervista. Ti ricorda qualcosa?
“Siamo nella stanza in cui un certo numero di anni fa, in compagnia di un gruppo di amici, ci ritrovavamo per iniziare a scrivere e disegnare i nostri primi fumetti. La Compagnia del Fumetto era un’associazione con cui tutto ha avuto inizio. Eravamo giovani un po’ incoscienti e con il limite di disegnare soprattutto per noi stessi. Poi, frequentando le fiere e incontrando autori affermati, abbiamo iniziato a chiedere consigli e suggerimenti per supplire ai nostri difetti. Abbiamo dato vita a una fanzine, Lo scarabocchio, completamente autoprodotta. Tra i primi numeri e gli ultimi usciti, la crescita risulta evidente”.
Ci racconti brevemente il tuo percorso come disegnatore di fumetti?
“Ho iniziato a frequentare la Scuola del Fumetto tra il 1999 e il 2000. Tra i compagni c’era Luca Bosio. Avremmo voluto creare una fanzine insieme, ma ai tempi gli orari scolastici non coincidevano. Abbiamo iniziato con la Compagnia del Fumetto, di cui ho già parlato. Poi ho cominciato a frequentare le fiere e qualcuno apprezzava i miei disegni. Parlandone con Barbara, la mia fidanzata, abbiamo iniziato a pensare che la passione avrebbe potuto diventare un mestiere. Nel 2009, avendo un’occupazione sicura, con i chiari di luna nel mondo del lavoro, non era certo semplice pensare di mollare tutto. Galeotta fu la crisi che fece chiudere il negozio in cui lavoravo e mi portò a non sapere dove sbattere la testa. Facevo lavori con contratti a tempo determinato ma, finito il periodo, tornavo al punto di partenza. A maggio del 2010, alla fiera di Mantova, entrai in contatto con Luigi Piccatto, disegnatore di Dylan Dog che era stato mio insegnante alla Scuola del Fumetto. Dopo un caffè al bar, mi chiese di vedere le mie tavole e mi diede due dritte sul mio lavoro. Mi offrì la possibilità di andare a dargli una mano nella sua “bottega” e mi lasciò il suo biglietto da visita. Presi la decisione di andare da lui. Sono stati quattro anni importanti, grazie a Luigi ho imparato a lavorare con un metodo. Disegnavo alcuni sfondi o personaggi di secondo piano insieme ad altri ragazzi che erano con lui. A un certo punto mi invitò a presentare qualcosa alla Bonelli e iniziai a lavorare, sempre con Luigi, su Brendon e Nathan Never. La crisi continuava e Bonelli non aveva nulla da offrirmi in quel periodo. Un po’ per andare in vacanza, un po’ per cercare lavoro, io e Barbara partimmo per gli Stati Uniti. A New York presi parte a una grande fiera e sottoposi alla Marvel i miei lavori: mi ritrovai a fare un colloquio e da parte loro ci fu un certo interesse. Tra il primo colloquio con la Marvel e l’ultimo sono passati sei anni e nel 2015 iniziai a lavorare per loro. Il primo lavoro fu il dodicesimo e conclusivo episodio di Kanan, “spin off” di Guerre Stellari. Da lì in poi ho disegnato Doctor Aphra, Dark Agnes, Star Wars, Capitan Marvel e gli X-Men, Doctor Strange e alcune pagine di Spiderman”.

L’intervista completa sul numero della Gazzetta d’Asti in edicola da venerdì 8 gennaio 2021

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