Dopo Pierpaolo Pasolini è  la volta di Carlo Emilio Gadda: Fabrizio Gifuni, con la regia di Giuseppe Bertolucci, porterà al Teatro Alfieri di Asti il 12 marzo prossimo lo spettacolo “L’ingegner Gadda va alla guerra” per la rassegna Parole d’Artista.
Un Amleto del secolo breve, ironico, malinconico, solitario, estraneo alla sua contemporaneità, in conflitto con il prossimo: questo antieroe è l’ingegner Gadda nella ricostruzione di Gifuni, strutturata nella prima parte basandosi sui diari dell’autore (sottotenente della milizia territoriale, V reggimento Alpini, durante la prima guerra mondiale) e nella seconda su un pamphlet satirico in cui Gadda analizzava il delirio narcisistico del primo ministro – Mussolini – e il suo “giganteggiare” su tacchi fasulli.
Con Fabrizio Gifuni abbiamo approfondito alcuni aspetti a partire dall’idea dell’accostamento tra Amleto e Gadda.
“Amleto fu un riferimento costante per Gadda in tutta la sua vita. Qualcosa di più un interesse letterario. Gadda costruisce intorno al personaggio di Amleto una sorta di biografia parallela: il protagonista del suo romanzo più importante – La cognizione del dolore – è l’alter ego dell’Ingegnere ma allo stesso tempo è un moderno Principe danese trapiantato nella provincia lombarda. Le nevrosi e la nevrastenia sono le stesse, come assai simile è il rapporto tormentato con la propria madre. Partendo da queste ed altre considerazioni ho costruito il testo dello spettacolo seguendo questa traccia. Ecco spiegato anche il sottotitolo “O della tragica istoria di Amleto Pirobutirro”.  Questa lettura mi ha permesso di ottenere ulteriore teatralità oltre a quella già contenuta nelle parole di Gadda”.
Quanto ha influito l’esperienza di “Una specie di cadavere lunghissimo” in questa scelta? Si tratta di due tappe di un unico progetto?
“Sì, lo spettacolo su Gadda è  il secondo capitolo di un progetto di cui Pasolini costituisce la prima parte. Entrambi nascono dalla volontà di indagare la deriva oscena dei tempi presenti partendo dalla memoria del nostro passato, avvalendosi del pensiero, dell’esperienza e delle parole di due giganti italiani che amavano furiosamente il proprio Paese. Per quel mi riguarda questo progetto, in quanto tale, è così composto e non ha bisogno di essere completato da un terzo capitolo. Il che non toglie che io possa continuare a lavorare sempre su alcune linee che mi stanno a cuore”.  
Con quali strumenti ha cercato di rendere sulla scena le specifiche di Gadda, a partire dalle sue invenzioni linguistiche, tanto difficili da inquadrare in categorie canoniche?
“Partendo dal corpo. Questo è quello che fa la differenza. Il corpo racconta in parallelo quel che la parola porta con sé, liberando tutti i significanti. Per quel che riguarda la lingua strabiliante di Gadda è necessario suonarla con la voce, staccandola dalla pagina scritta, per godere appieno tutto il suo potenziale fantasmagorico”.  
Quanta attualità c’è  nello spettacolo “L’ingegner Gadda va alla guerra”?
“Purtroppo moltissima. Al termine dello spettacolo un numero impressionante di spettatori è convinto che alcune parole non possano essere state scritte da Gadda, tanto forte è il corto circuito che si determina con lo squallore desolante del nostro presente”.
Marianna Natale