«Se trovo chi ha fatto le nove serie de La Piovra e chi scrive libri sulla mafia che vanno in giro in tutto il mondo a farci fare una bella figura, giuro che li strozzo» disse Silvio Berlusconi in un pubblico discorso a Olbia, dopo aver raccontato una barzelletta sul silenzio eroico (eroico?) dei siciliani.
E adesso “Strozzateci tutti” è la provocatoria risposta a queste parole di ventitré scrittori che provengono da esperienze diverse: dal giornalismo, dall’università, dall’associazionismo e da sperimentazioni letterarie.
Giovanni Abbagnato, Massimiliano Amato, Vincenzo Ammaliato,  Anna Bisogno, Alessandro Chetta, Corrado De Rosa, Bruno De  Stefano, Emiliano Di Marco, Raffaella Ferrè, Serena Giunta, Andrea Meccia, Antonella Migliaccio, Giorgio Mottola, Iolanda Napolitano, Pietro Nardiello, Sergio Nazzaro, Claudio Pappaianni, Carmen Pellegrino, Francesco Piccinini, Marcello Ravveduto, Gianni Solino, Nello Trocchia, Francesca Viscone. Ventitré scrittori del Sud, uniti dall’impegno antimafia, che forniscono in questa antologia una risposta civile prendendo spunto da una battuta quantomeno infelice.

Abbiamo incontrato uno di loro, Pietro Nardiello, giornalista, ideatore artistico del Festival dell’Impegno Civile, collaboratore con la redazione napoletana di Repubblica, Terra, Narcomafie, Articolo 21, La Voce delle Voci, autore della trasmissione di radio Rai Tre Parole Fuori dal Vulcano.
Come nasce la sua partecipazione a questa antologia?
“La collaborazione a questo libro rappresenta una tappa di un cammino che con alcuni componenti del gruppo stavo già percorrendo da tempo. Spesso ci confrontiamo per scambiarci idee, opinioni su quello che accade nei nostri territori dove a far clamore, per la stampa, sono solamente i morti ammazzati e non gli accordi sottobanco tra la politica e il malaffare, l’oppressione quotidiana, ma silenziosa, dei territori e delle sue popolazioni perpetrate da parte di amministratori, banche, usurai, delinquenti confluiti nelle cooperative sociali e da un sistema controllato dai cosiddetti colletti bianchi. E poi perché non si poteva non sottoscrivere un manifesto di protesta nei confronti di chi aveva dichiarato in un pubblico discorso che avrebbe voluto strozzare chi continuava a scrivere di mafia”.

L’antologia è composta di storie: di che cosa parla il suo racconto?
“Mi occupo dell’uso e del disuso dei beni confiscati alla camorra in Campania, una regione che si colloca al secondo posto nella classifica nazionale per numero di beni sottratti alla criminalità. In soli 5 anni sono stati erogati, per ristrutturare e riavviare un numero cospicuo di beni confiscati, 11 milioni di euro. A fronte di oltre 1300 beni affidati ai Comuni e ai vari consorzi poco più di una cinquantina sono quelli realmente utilizzati. Alcune cooperative sono state costrette ad autofinanziarsi per ristrutturare il bene loro affidato loro. Evidentemente qualcosa non funziona come dovrebbe”.

Che ruolo ricopre la denuncia giornalistica?
“Se ci ritroviamo una classe dirigente come questa al governo, che considera eroe un mafioso come Mangano, allora il giornalismo rappresenta un valore aggiunto. Se poi circoscriviamo la domanda alla mia regione, la Campania, possiamo dire addirittura che la denuncia giornalistica sia fondamentale per consentire la sopravvivenza della democrazia. Nella regione dello scandalo dei rifiuti, purtroppo, una parte della stampa si è schierata a sostegno di chi ha costruito a tavolino quest’emergenza dimenticando i principi deontologici della professione”.