Chi fermerà la musica”, si chiedevano i Pooh nel 1981 e adesso almeno una risposta la possiamo anche dare. Perché la musica è ferma, in compagnia del teatro e del cinema, non si schioda dal penultimo festival di Sanremo. L’ultimo? È stato un evento televisivo con un teatro privo di pubblico e certamente non apre le danze a una primavera di concerti nei teatri o nei palasport, e men che meno a un’estate in cui ritrovarsi negli stadi o nelle piazze. Ho iniziato a fare un tour su Youtube e mi sono imbattuto in alcuni artisti che denunciano la loro fatica di sopravvivere a una pandemia che li costringe a casa o in cantina e, di fatto, nega loro la possibilità di fare il loro lavoro. Se non lavorano i cantanti, a perdere l’impiego sono anche i tecnici del suono, i musicisti, gli addetti al palco e tutto quello che si muove dietro a ogni concerto. Alcuni sono eventi giganteschi, altri hanno dimensioni trascurabili a parole, ma nascondono padri e madri di famiglia che hanno perso la loro occupazione. In questo primo appuntamento ne parlo con Giuseppe Povia che dopo la vittoria al festival di Sanremo nel 2006, oggi ha appena finito di registrare “Imperfetto”. Un disco “artigianale”, che ha preso vita in cantina, completamente autoprodotto e distribuito con mezzi lontani anni luce dagli ordinari percorsi discografici. 

Povia ha accettato di rispondere ad alcune domande, e non posso che ringraziarlo per la gentilezza e la disponibilità che ha manifestato. 

Come vive un cantautore il tempo della pandemia? Si può ancora lavorare? E come?

“Quest’anno ho perso un centinaio di concerti e, come me, anche le persone che lavorano per il mio progetto live. Così mi è venuta l’idea di fare un disco tutto da solo in cantina che ho chiamato “Imperfetto”. Ho avuto e ho molte richieste perché i temi trattati sono molto sociali e politici, e mi sono reso conto che ci sono tante persone interessate”. 

Una delle caratteristiche del suo ultimo album (e anche del precedente) è l’autoproduzione. Anche altri artisti hanno optato per questa direzione: come mai? Cosa è venuto a mancare nel rapporto con le case discografiche?

“Le case discografiche oggi in generale distruggono la vita dell’artista. Non investono oltre un singolo e abbandonano il progetto se non funziona subito. Il mio genere si chiama Homeproduction ed è una svolta riuscire a gestire e decidere tutto. Pensa che ancora oggi, a cinque anni dalla pubblicazione, ancora mi chiedono il disco NuovoContrordineMondiale che, assieme ad Imperfetto, costa 25 euro per 31 canzoni. Fosse stato in mano ai cataloghi discografici, al meglio sarebbe finito nei cestini a 1 euro”. 

Autoprodursi un disco è anche rinunciare alla possibilità di condividere con altri il proprio lavoro, è privarsi di tante collaborazioni, è dover imparare a fare un po’ di tutto. Ti mancano questi aspetti della vita di un musicista?

“Assolutamente no, anche perché sono l’unico cantautore che tratta degli argomenti che non tratta nessuno in modo così esplicito e chiaro. A me interessa la gente non le collaborazioni commerciali”. 

L’intervista completa sul numero della Gazzetta d’Asti in edicola da venerdì 12 marzo 2021

Massimo Allario