E’ un eroe multiforme Aurel Mengri, un uomo alla ricerca dell’assoluta conoscenza, in una perpetua peregrinazione attraverso il tempo, i luoghi, le culture: un’epopea che nasce in una culla balcanica, il lago di Pogradec, confine fra la comunista Albania e la socialista Macedonia. Appare come un uomo estremamente determinato, i cui obiettivi sono scolpiti nella mente, a formare le tappe di una corsa verso la felicità. Vive in Italia da 20 anni, svolge la sua professione di medico anestesista all’ospedale “Cardinal Massaia” di Asti.
Come si è svolta la tua crescita professionale, dall’Albania all’Italia?
“All’ottenimento della prima laurea in medicina a Tirana, un amico mi avanzò la fatidica proposta del Viaggio. Partimmo insieme da un’Itaca ribollente di emozioni, di ribellioni, di aria di novità suscitata dalla caduta del regime. Intraprendemmo un itinerario intricatissimo per tutta l’Italia alla ricerca di rifugio, a seguito di tante promesse quante illusioni, incontrando amici e parenti che, a dispetto dell’orgogliosa ostentazione di un benessere immaginario, non avevano di che nutrirsi. Dalla costa di Trieste a quella di Catania, fummo vittime della penuria di qualsiasi bene di prima necessità, patimmo e sopportammo con speranza le più disparate avversità, fino a trovare un lavoro come camerieri in un paese dell’entroterra siciliano. Al contempo mi applicavo in vari studi medici come assistente. Da questo nuovo punto di partenza cominciai il cammino verso la seconda tappa. Non vedendomi riconosciuti infatti il titolo che avevo assunto in Albania, riabbracciai gli studi per il conseguimento di una seconda laurea, che ottenni a La Sapienza. Lavoravo di notte e studiavo di giorno, in una frenetica salita all’affermazione professionale tanto auspicata. Mi trasferii dunque nel Piemonte, dove acquisii la specializzazione in anestesia e medicina estetica. Alternai la mia attività nell’Ospedale di Alessandria, al 118 di Bra e nella Clinica San Giuseppe ad Asti, città dove mi sono infine stabilito e dove oggi ho il mio studio”.
Se l’Albania fosse un quadro, come la descriveresti?
“Ci insegnano ad associare il rosso all’Albania: la bandiera, la sua rappresentazione sulla cartina, dove è l’unico Paese di questo colore. Ma nella mia percezione l’Albania è un’immagine disorganica e contraddittoria, dove le spennellate si confondono in un’accozzaglia di mentalità contrastanti: il mio Paese non ha ancora trovato una sua direzione, un suo obiettivo comune, un’identità dai contorni netti”.  
Terminerà  mai questa peregrinazione? Discerni già la tua Itaca?
“Il bambino curioso, il ricercatore, l’anima irrequieta che risiede in me chiede testardamente di essere ascoltato, evocando tutti i suoi diritti. Ma con il passare del tempo chiaramente si consolida sempre di più in me l’idea di porre le mie radici in un luogo: è forte l’influenza della mia cultura, degli insegnamenti degli antenati, che mi spinge a creare il focolare pieno di figli, il rifugio accogliente. Come cittadino del mondo, per ora, ho adottato un bambino a distanza in Brasile”.

Ornella Darova